Edizione 2005

Jean Jacques Rousseau per insegnare a leggere al suo Emile ritenne che sarebbe stato sufficiente far nascere in lui l’amore per la lettura.
Anche se sono trascorsi oltre due secoli, sentiamo di condividere pienamente questo pensiero. E’ una delle ragioni per cui in questa ventiduesima edizione del premio “Città di Cava” abbiamo deciso di sdoppiare la sezione narrativa in quella dei romanzi e dei racconti brevi.
Crediamo infatti che racconti brevi e romanzi rappresentino due diversi generi narrativi. Il racconto si distingue nettamente dal romanzo non solo per la brevità –può infatti essere letto “tutto d’un fiato” – ma anche perché la narrazione deve essere ridotta all’essenziale, evitando tutto ciò che è superfluo, lo stile deve essere stringato, ma preciso, in modo da catturare in pochi minuti l’attenzione del lettore, suscitando emozioni forti e profonde.

Il romanzo è più “ampio”, può permettersi di spaziare in dettagliate descrizioni dei personaggi e dei contesti in cui si muovono, di indugiare sulla loro psiche e sulle situazioni. Il romanzo ci accompagna per più tempo, si associa a “quel” mese, a “quella” vacanza, a “quel” periodo della vita…. Ci piace paragonarlo ad un film, al contrario del racconto breve che ci piace paragonare ad uno spot o ad cortometraggio da 100 secondi…
Sotto tale profilo crediamo anzi che il racconto può essere lo strumento più efficace per avvicinare i giovani alla lettura, perché maggiormente compatibile ed adattabile agli strumenti di comunicazione più diffusi quali i quotidiani ed i settimanali. In essi sarebbe facile e poco costoso ospitare (qualche volta già accade) racconti brevi con il risultato di stimolare la voglia di lettura che ci auguriamo si trasformi in una vera e propria passione.
E’ soprattutto la voglia di sviluppare l’amore per la lettura che ci ha spinti a potenziare per questa “Edizione 2005 del Premio Città di Cava” la sezione dedicata alla narrativa, sia essa il romanzo o il racconto breve. I risultati ci hanno dato ragione : la scelta operata si è rivelata vincente: numerose sono state le opere iscritte al concorso, tutte di buon livello.
Anche la sezione dedicata alla poesia è stata ricca di spunti e di temi nuovi e vecchi, con prevalenza per quelli intimisti.
La valutazione delle opere in gara è stata affidata alla Giuria composta dalle giornaliste Maria Alfonsina Accarino e Concita De Luca, da Fabio Dainotti ed Emanuele Occhipinti, docenti di materie letterarie, da Francesco G. Forte, responsabile della Casa Editrice Oèdipus.
Ringrazio vivamente i componenti della Giuria per l’impegno che hanno profuso nell’esame e nella valutazione delle oltre 500 opere in gara. Esse sono state in una prima fase attentamente esaminate da ciascun giurato. La riunione collegiale conclusiva è stata dedicata alla discussione sulla rosa delle opere che avevano conseguito i punteggi più alti, per pervenire alla formazione della graduatoria finale ed alla sintesi delle motivazioni per le opere graduate ai primi posti.
Su questa rivista riportiamo brani delle opere di narrativa prime classificate e, per intero, le poesie graduate ai primi tre posti.
Nel corso della cerimonia della premiazione la lettura delle opere prime classificate è affidata all’attore Giuseppe Basta che con la sua interpretazione riesce a cogliere le più piccole sfumature dei brani ed a regalare a chi lo ascolta, ed agli stessi autori, attimi di intensa emozione.
I brani di musica leggera sono a cura di Daria Alfieri, giovane avvocato, che nel tempo libero rivela la sua splendida voce e la passione per la musica.
Il Comune di Cava de’ Tirreni offre a ciascuno dei primi classificati nelle quattro sezioni concorsuali il premio di 600 Euro .
La consegna dei premi è svolta direttamente dal Sindaco, avv. Alfredo Messina, al quale va il nostro sentito ringraziamento. L’Amministrazione Comunale sostiene la nostra iniziativa, non solo con i premi, ma anche con la fattiva collaborazione degli uffici dell’Assessorato alla Cultura.
L’Azienda di Soggiorno e Turismo di Cava de’ Tirreni -che pure ringraziamo- offre ai primi classificati e ad un loro accompagnatore, residenti fuori della Campania, il soggiorno in città nella formula della “mezza pensione” per il giorno della premiazione.
Ringraziamo, infine, la Provincia di Salerno e gli altri Enti che sostengono la nostra manifestazione. Un ringraziamento particolare al Comune di Tramonti che offre ai premiati una degustazione dei liquori della costiera amalfitana affinché portino con sé un ricordo dei sapori tipici della nostra terra.

La Presidente
arch. Maria Gabriella Alfano

Poesia in lingua Italiana

PRIMA CLASSIFICATA

Non so se adesso il giorno abbia memorie
Non so se adesso il giorno abbia memorie
né se la notte porti altre chimere
(fiori di loto e lune tramontate
calarono sipari d’ombre e fumo
muri alzarono contro l’orizzonte).

Non hanno sogni i vecchi né più fuochi.
Non rammentano voli e più non sanno
se fu il verde dei monti o il blu del mare
a sciogliere i tramonti in fondo agli occhi
se furono le allodole o i gabbiani
a volare sul filo delle aurore
(e le mani che strinsero tremanti
ragazze dalle labbra d’albicocca
le levigò la gomena agli approdi
oppure il grano e l’uva delle vigne?).

Fu lungo il giorno
dura la fatica.
Quanti rosai si arresero agli autunni
quanti sorrisi consumò il dolore!
Ora è già sera e i vecchi
il passo incerto
risalgono la china delle stelle
e annotano le rotte della luna.
E noi che non sappiamo più volare
noi che perduto abbiamo tenerezze
assenti e indifferenti li lasciamo
randagi e soli ai margini del cuore.

Ma i vecchi hanno alla fonda barche azzurre
e tessono segretamente vele
da issare al vento verso un’altra riva.

Umberto Vicaretti – Luci dei Marsi (AQ)

Scandita sui ritmi e sugli accordi della migliore poesia novecentesca, di cui utilizza con sapiente “riuso” alcuni stilemi,  la lirica di Umberto Vicaretti si dispone come una calibrata interrogazione su una realtà (quella dell’emarginazione degli anziani), che il poeta lascia in una vaga indeterminatezza, oscillando tra sogni e fuochi negati  e chimere portate dalla notte,  tra “verde dei monti e blu del mare”, per sciogliere il dilemma soltanto nel trasognato finale in favore di una distesa equorea, fortemente connotata in senso simbolico,  su cui sarà ai vecchi possibile issare “le vele al vento verso un’altra riva”.

SECONDA CLASSIFICATA

La tua strada    Ad Adriano

E così te ne andrai per l’ampia strada
e il padre si scolora
al tuo giorno di luce.
Non hai più scelte ch’io ti riproponga
come quando la mano raccoglievo
piccola nella mia, quando avvertivo
quant’ansia avessi a diventare grande
in quella corsa che precede il vento.
Tu te ne vai nel giorno. Al guado
io ti sorrido. Intanto
si stinge nel crepuscolo la vita
dove a sera si scioglie la tristezza
e il canto della notte ampio riporta
le molte voci che lasciai sospese.
E già il silenzio incombe alla parola,
nella polvere d’aria alto si leva
dolce il coro del nulla.
E verrà il tempo, figlio, che la mano
grande sarà all’accogliere la mia
muta pallida esangue
nell’ora incerta del mio guado, quando
l’occhio trema alla stella.
Quando anche l’alba ha una tristezza antica.

Alberto Averini – Roma  

Composizione poetica carica di spiritualità nella rappresentazione del rapporto tra padre e figlio. Tutto il legame affettivo viene colto e sintetizzato nel momento del distacco, quando il presente si fa crocevia di un passato che si chiude con il suo bagaglio di affetti e si scioglie in un futuro aperto alla luce, in un’atmosfera vaga e incerta, densa di una sottile malinconia e allo stesso tempo di una religiosa positività, che forse trova l’espressione più significativa nei due versi che chiudono la seconda strofa: nella polvere d’aria alto si leva/ dolce il ricordo del nulla. Il ritmo lieve e armonioso dei versi è il naturale sigillo di un timbro poetico delicato e profondo.

TERZA CLASSIFICATA

Giocatrici d’astragali

Noi giocatrici d’astragali abbiamo prestato
corpi alla luna e cullato per lei embrioni
di uomini e donne alla luce dei suoi pleniluni
Forgiammo nel silenzio di notti illuni
cellula dopo cellula, muscoli e scheletri
e poi mani e piedi per poter rischiarare
il mondo con gli occhi dei nostri figli
Dalle nostre madri imparammo le nenie
e alfabeti di riti e sintassi di gesti
e impastammo farina e sale e lievito
e acqua per i nostri figli.
Ma altri lidi e porti sempre più distanti
dai nostri scogli ha raggiunto chi, sangue
del nostro sangue, ha fatto bottino di umori
e linfe dei nostri corpi e spiegate le vele
è salpato da solo per il suo viaggio.
E noi impenitenti giocatrici d’astragali,
rimaste a riva a guardare, freddo il grembo
e vuote le braccia, torneremo alla prossima
giocata a intrecciare giunchiglie e ad adornare
di ramoscelli di mirto i nostri letti per gli inattesi
approdi e le scontate partenze dei nostri amori
Sapremo strappare dal cielo sipari di tramonti
e arabescare incensi e mirra per nuovi amplessi
e gettare miele sull’aloe amara dell’ultimo tradimento.
E ad ogni nuova gettata d’astragali ci sembrerà
più lieve la ruga che scava il viso
e turgidi i seni già svuotati dai figli
e nuova la pelle avvizzita dagli anni
Illuse giocatrici riusciremo a credere ancora
all’inganno di voce maschile che tornerà
suadente a intonare alla luna ruffiana d’agosto
gli antichi madrigali della nostra giovinezza.

Carmen De Mola – Polignano a mare (BA)

C’è in questo canto l’epopea lirica della donna quale strumento della sorte e nello stesso tempo protagonista dei destini delle generazioni umane, poiché nel suo seno germinano gli embrioni/ di uomini e donne.Infatti noi donne, dice la poetessa, Forgiammo…/ cellula dopo cellula, muscoli e scheletri/ e poi mani e piedi per poter rischiarare/ il mondo con gli occhi dei nostri figli; da noi donne, attraverso i nostri figli, sangue/ del nostro sangue…hanno avuto e hanno origine tutte le sorti dell’umanità, tutte le partenze, tutti i viaggi; dai nostri nuovi amori sono derivate altre vicende di illusioni, di inganni o di tradimenti, di quanto, sotto lo sguardo  della luna, può nascere dal vigore e dalla freschezza della giovinezza.
Il linguaggio, il periodare, l’onda ritmica dei versi, conferiscono alla composizione un inequivocabile profumo di classicità, che rafforza e consolida il senso di una realtà che appartiene alla vicenda umana di ogni tempo.

PREMIATI CON TARGA

Mina Antonelli, Rosalba Anzalone, Maria Aronica, Pierubaldo Bartolucci, Luigi Buonaiuto, Pina Caria, Giovanni Caso, Cinzia Corneli, Monique de Buysscher, Alfredo Di Marco, Alberto Ferrari, Franco Fiorini, Emilia Fragomeni, Alberto Gatti, Anna Gigantino, GiovanBattista Leone, Gabriella Manzini, Senzio Mazza, Rita Minniti, Elena Mossuto Attanasio, Giuseppe Nittolo,  Carlo Olivari, Gerarda Pisaturo, Patrizia Rigoni, Paolo Sangiovanni, Vinia Tanchis, Mario Aldo Toscano, Roberto Veracini.

PREMIATI CON MEDAGLIA

Francesco Albanese, Armando Annunziata, Andrea Armonico, Giuseppina Attolico, Arturo Avellino, Ettore Avellino, Maria Angela Bedini, Anna Bifolchetti, Liana Bonuccelli Caputo, Anna Brunetti, Giuseppe Bruno, Gaetano Camarda, Marialuisa Campo, Marina Canal, Maria Caravaggio, Anna Cardelli Marena, Giuliano Cardellini, Ciro Carfora, Giovanni Carioti, Franco Carlis, Rosario Castronuovo, Pietro Catalano,   Elena Cipriani Mazzantini, Lucrezia Colacicco, Adriana Comollo, Carmela Crosazzo, Raffaele D’Antuono, Vincenzo De Crecchio, Nicoletta Di Cecio, Domenico Di Lonardo, Luigi Di Prisco, Ivan Fedeli, Carmela Gennuso, Pasquale Giannatempo, Ostilio Giglio, Giuseppe Giorgi, Minos Gori, Luigi Grilli, Giuseppe Gucciardino, Marcello Guerrieri, Pasquale La Torre, Vincenzo Leopoldo, Antonio Maggio, Carmine Maggio, Silvana Manzalini, Katia Marionni, Giovanni Mazzotta, Emilia Merenda, Annalisa Michelangeli, Eros Mocellini, Salvatore Monaco, Carlo Monteleone, Alessandro Morino, Enrica Paola Musio, Valeria Nastri, Luigi Navarra, Giovannino Nieddu, Angelo Orlando, Gilberto Palmacci, Giovanni Panarese, Gabriele Panfili, Mara Penso, Giovanni Pisapia, Pinella Pistis, Stefania Sabrina Rifici, Mita Riotto, Pierfrancesco Roccato, Giuseppe Romano, Piergiorgio Rota, Calogero Sabia, Teresa Scialpi, Maria Rita Scollica, Antonio Semprini, Graziano Sia, Elena Simionato, Rosanna Spina, Maria Stimpfl, Alfredo Torreggiani, Davide Vaccino, Carmine Valente, Gerardo Valvano, Maria Luisa Vanacore, Pasquale Vinciguerra.

Poesia in vernacolo

PRIMA CLASSIFICATA

TRAZHE
(dialetto Veneto dell’Opitergino-Mottense in provincia di Treviso)

Calcòssa. Come un muzhigòt
de zhigareta schinzhà
te un portaciche bianco,
te l’unico tavoìn libero,
fora da un cafè: el fil
de fun che ‘ncora se lèva,
sora el filtro macià de rosseto.

O un sbrodegòt de zhiéra zà dura
zo daa pinzheta, te ‘na cesa vòda,
‘na sera. Intant che do posti pì in là
mèdha candéa ‘ncora ‘a continua
el ciaro dea so preghiera.

Opura ‘a zhàpega de ‘na scarpa
che par dispèt, par zogo, o par
‘na perdita de caìbrio, un sburtòn,
par senpre ‘a resterà fonda
te ‘na getada de cimento.

PRESENZE.    E za distanze.

Trazhe che calcùn
el ‘assa là, e che a noantri
ne fa pensàr, imajinar:
un viso; ‘na storia diversa
daa nostra epura cussì diversamente
conpagna. El fato de ‘rivàr un fià
dopo, el fato che calcùn’altro
el’ rivarà un fià dopo de noantri
provando a pensàr chi che se jera.

Fabio Franzin – Motta di Livenza (TV)

TRACCE
Qualcosa. Come un mozzicone / di sigaretta schiacciato / in un posacenere bianco, / nell’unico tavolino libero, / fuori da un caffè: il filo / di fumo che ancora si libra, / oltre il filtro macchiato di rossetto. // O una colatura di cera rappresa / dalla molletta al vassoio votivo, in una chiesa deserta, / una sera. Mentre due spazi oltre / un moccolo ancora trema / la fiammella di una sua preghiera. // Oppure l’impronta d’una scarpa / che per un dispetto, una burla, o per / una perdita d’equilibrio, uno spintone, / per sempre rimarrà impressa / in una gettata di cemento. // PRESENZE.  E già distanze. // Tracce che qualcuno / deposita lì, e che ci / intrappolano il pensiero, che ci fanno immaginare: / un viso; un destino diverso / dal nostro eppure così diversamente / simile. Il fatto di giungere lì con un attimo / di ritardo, il fatto che qualcun altro / giungerà con un attimo di ritardo dopo di noi / tentando di immaginare chi eravamo

Chi osserva nel testo le “tracce che qualcuno / deposita”  parte dalla constatazione  di un rapporto di causa ed effetto tra oggetti (la macchia di rossetto su un mozzicone di sigaretta, una colatura di cera e una candela accesa in una chiesa vuota, un’impronta di scarpa)  e possibili eventi. E’ proprio l’inattualità di tale rapporto, non immediato per natura,  che fa scattare l’immaginazione del poeta, portato in tal modo a interrogarsi  sull’identità di chi tali orme ha lasciato, “a immaginare un viso, una storia diversa dalla nostra  eppure così diversamente compagna”; ma anche chi segue, come il poeta  e noi con lui, queste presenze distanti, lascia a sua volta dei segni involontari, che faranno sognare altri, anch’essi a loro volta destinati ad arrivare “con un attimo di ritardo”. Le tracce del titolo diventano così catacresi della comunicazione e  dell’investigazione umane, in grado di dar conto del passaggio, altrimenti ignorato e silenzioso, di intere generazioni di persone, che si succedono sulla Terra, col loro carico prezioso di gioie e sofferenze.

SECONDA CLASSIFICATA

Domo derrutta

Domo cara ‘e sa pitzinnía
fraigad’in logu soliánu,
un’ozastru ti faghiat umbra
in sas caldanas de su sol’‘e triulas.
In sa corte, inserrados
dae s’amor’‘e su ‘ighinadu,
nois pitzinnos, chimeras pessighende,
curriamus gioghende
incontr’a sa vida.
A sa falada ‘e su sole
sas ischintiddas de su fog’alluttu
fin anghelos chi pesaían
a chelu innotzentes isperas.
Cantu nd’as bidu caddos a sa loriga
e istranzos pasende!
Drommían sa notte in s’oru ‘e su foghile
pro si pesare lestros e partire
s’incras a manzanile.
Deo sonniende l’intregaía su coro
sighende sos caddos
fintzas chi s’oju podiat.
Cantu nd’as costoidu
amorosos suspiros
de isposas galu pitzinnas
pois tichirrios de gosu e dolore
de partorzas onz’annu
a nos furare carignos!
Cantu nd’as intesu de anninnías
e accorados attítidos
pro fizos furados in presse
dae su fadu a sa vida!
E custu furru, giá nd’at cottu pagu
de pane saboridu,
impastadu de fadiga
e cun pelèas salidu!
Fuidu si ch’est su tempus,
como derrutt’e ismentigada,
pagas frascas a cobertura,
ses diventada sa domo ‘e sas puddas.

Antonello Bazzu – Sassari

Casa diroccata

Casa cara della mia infanzia
costruita in luogo soleggiato,
un olivastro ti faceva ombra
nelle caldane di luglio.
Rinchiusi nel cortile
dall’amore dei vicini
noi ragazzi, inseguendo chimere,
correvamo giocando
incontro alla vita.
Al calar del sole,
le faville del fuoco vivo
erano angeli che portavano
in cielo ingenue speranze.
Quanti ne hai visto cavalli all’anello
ed ospiti riposando!
Dormivano accanto al focolare
per essere pronti e partire
all’alba l’indomani.
Io sognando gli affidavo il cuore
seguendo i cavalli
finché l’occhio poteva.
Quanti ne hai custodito
d’amorosi sospiri
di spose ancora bambine
poi grida di gioia e dolore
di puerpere ogn’anno
a rubarci carezze!
Quante ne hai sentite di ninnananne
e accorati lamenti funebri
per figli rapiti troppo in fretta
dal destino alla vita!
E questo forno quanto ne ha cotto
di pane saporito,
impastato di fatica
e salato con sofferenze!
Sono fuggiti gli anni,
ora diroccata e dimenticata,
poche frasche per tetto,
sei diventata casa di galline.

Il legame amoroso con la casa della propria infanzia induce il poeta a rappresentarla come una persona cara, passata attraverso le pieghe di un’intera vita fino alla vecchiaia. Ecco sfilare, perciò, alcune delle esperienze più significative: lo stare sotto il sole di luglio o all’ombra dell’olivastro, le faville che schizzavano dal focolare, i cavalli all’anello, il riposo degli ospiti, sospiri amorosi di spose e grida di puerpere, ninnananne, lamenti funebri, il forno e il pane saporito; ed infine, diroccata, casa di galline. In tutto questo l’autore ha saputo infondere un respiro di umanità, che probabilmente trapela anche dalla musica dei versi, anche se il lettore non sardo riesce a percepire solo il parte.

TERZA CLASSIFICATA

E purtune ’e  na vòta

Addò stanno cchiù ’e purtun”e na vòta:
trasìve pe’ t’arreparà quanno chiuveva
o pe’ scagnà nu vaso c”a guagliona.
Maje ca nu guardapòrte jeva ’nfrèva !

Trasìve annascuso dint”a nu palazzo
cercanno ’e nun te fa vedè d”o guardapòrte:
ma si isso te vedeva….che imbarazzo….
po’ scuorno i’ jastemmav”a malasciorta !

Tànno, n’ammore cu na guagliona,
primma ca dint”a chiesa, ’o cunsacrava,
sott”a nu purtune, sulo nu vaso:
n’abbraccio e na carezza….e ’nce abbastava !

’A guagliona se stèva, te venev”appriesso.
Sapèva ca lle dive nu vaso….e niente cchiù.
Te pareva ’e tuccà cu ’e mmane ’o Paraviso:
chist’ era ll’ammore nuosto ’a giuventù !

Mo ’e purtune stanno sempe ’nzerrate,
pecchè….sòngo ’e metallo anodizzato:
me pàrene cancielle ’e carcerate.
E guàrdaporte nun ce stanno cchiù !

Viecchie purtune, quanta nustalgia….
N’hanno visto ammore nascere cu nu vaso !
E guagliun”e mo, ’o ffanno ’mmiez”a via:
’a ggente passa….e manco nce fa caso !

Sò cagnat’e purtune….è cagnato ll’ammore….
penzann”o passato….me se stregn’ ’o core !

Vittorio Santangelo  

I portoni di una volta

Che fine hanno fatto i portoni di una volta:
entravi per ripararti quando pioveva
o per scambiare un bacio con la ragazza.
Mai che il portiere si arrabbiasse.
Entravi di nascosto nel palazzo,
cercando di non farti vedere:
ma se venivi scoperto, che imbarazzo!
Per la vergogna, si imprecava la malasorte.
A quei tempi,l’amore con una ragazza,
prima ancora che nella Chiesa,veniva consacrato
sotto l’androne di un palazzo solo con un bacio:
un abbraccio e una carezza e ciò bastava.
La ragazza ci stava, ti seguiva,
sapeva che le avresti dato un bacio…senza pretendere altro.
Ti sembrava di toccare con le mani il Paradiso:
così era l’amore nostro in gioventù.
Ora i portoni sono sempre chiusi,
sono di metallo anodizzato.
Sembrano cancelli di un carcere.
I portieri non ci sono più.
Vecchi portoni,quanta nostalgia…
Ne hanno visti amori nascere con un bacio!
I ragazzi d’oggi lo fanno per strada:
la gente passa e nemmeno ci fa caso!
Sono cambiati i portoni…è cambiato l’amore…
pensando al passato, mi si stringe il cuore.

La lirica s’incentra tutta sul ricordo e la nostalgia dei portoni custodi degli amori d’una volta, in un gioco di suoni e profumi di momenti felici, quando era sufficiente un bacio per consacrare l’amore e vivere momenti di serena ed innocente intimità. Il rammarico per i mutamenti dovuti all’incalzare del tempo, come la figura del guardaporta ormai scomparsa e soppiantata da un portone anodizzato o il diverso rapportarsi dei giovani all’amore, viene raccontato in una modalità fatta di suggestioni nostalgiche.
Il verso si adegua al sentimento che lo pervade, si regge su efficaci assonanze foniche, si estrinseca in un lessico semplice ed appropriato, si dispiega in un ritmo pacato e gradevole.
La lirica, pur  risolvendosi in una riflessione personale sui cambiamenti nelle abitudini esistenziali, s’inquadra in una dimensione più ampia, che ciascun lettore può fare propria e, come il poeta, lasciarsi coinvolgere dall’incanto dell’amore e del tempo che fu.

PREMIATI CON TARGA

Maria Attanasio, Jole Cantobelli, Vincenzo Cerasuolo, Eduardo De Biase, Armando De Marino, Ileana Lombardo Caminiti, Sebastiano Maccarrone, Giuseppe Muscetta, Elia Nese, Vincenzo Russo, Marisa Santoro, Francesco Senatore.

PREMIATI CON MEDAGLIA

Giuseppe Attanasio, Gemma Bertoncin, Alessandro Ciampa, Ettore Cicoira, Rita Coppola Alfano, Giuseppe Descloux, Patrizia Di Martino, Stefania Esti, Luigi Fontana, Ela Gentile, Romina Gentilucci, Concetta Maini, Gaetano Montuori, Nunziante Navarra, Giovanni Noto, Angelo Passarelli, Vincenzo Russo, Antonio Scarpone, Giuseppe Schepis, Maria Schiavone, Mario Sodano, Giuseppe Sorrentini.

Racconti brevi

PRIMO PREMIO

OTTOBRE 1944
di Silvia Faini

Un episodio tenero e dolente. Braccato dai tedeschi, un giovane viene salvato fortunosamente dalla famiglia di Maria, ragazza di campagna. Scocca la scintilla di un amore pudico. Tre anni dopo la guerra, lui ritorna. La felicità si spegne in un balèno.
Una scrittura serrata per un racconto emozionante. Il bel tocco descrittivo disvela, nel tratteggiarne la fisicità, i moti più intimi dei personaggi.

SECONDO PREMIO

CRONACHE DAL CENTRO DELLA NOTTE
di Renzo Cremona

Con un suo dire attento, sorvegliato e claustrofobico, Renzo Cremona ha saputo dar voce e corpo di scrittura all’inesprimibile, illuminando con una luce precaria i confini malcerti delle cose, pericolosamente insidiate da un senso di mistero, per giungere fino a quella zona neutra, dove si annidano le inquietudini di un io lacerato e scisso, alle prese con gli incubi metropolitani e con la dimensione labirintica del vivere contemporaneo.

TERZO PREMIO ex-aequo

QUEL CIELO AZZURRO OLTRE L’ARCOBALENO
di Gennaro Sica

Essenzialmente narrativo. Potrebbe racchiudersi in queste poche parole il giudizio critico su “Quel cielo azzurro oltre l’arcobaleno” edito dai “I libri di Pan”. Gennaro Sica, l’autore, con questa sua raccolta di racconti è andato al di là degli inutili formalismi stilistici, affidandosi ad un genere che fa della semplicità descrittiva la sua arma vincente. E proprio questo aspetto emerge tra le righe di un volume riflessivo e pacato. Ciò che colpisce è che il testo è libero da fronzoli, da esagerate aggettivazioni. Nella sua concreta semplicità  arriva al cuore della storia. Sa descrivere e far vivere i personaggi così come la mente li ha immaginati per poi rifletterli tra le pagine del libro. Si passa così dal profilo sincero de “L’ufficiale di censimento”, con quei quadri di vita vissuta, reale,  a quello di grande impatto di “Valerio” o di “Zì Marì” che fa della descrizione dei particolari un grande punto di forza.

TERZO PREMIO ex-aequo

LEGGENDO CARVER
di Fabrizio Bianchini

L’opera risulta particolarmente accattivante, perchè appare in grado di coniugare insieme la brevitas dei singoli medaglioni e la continuità, rappresentata dal fil rouge che collega le singole storie.
Ragione non ultima del fascino di Leggendo Carver è quel carattere metaletterario che si fa strada fin dal titolo, facendo risaltare ancor più per contrasto la semplicità del dettato e la fresca genuinità dell’ispirazione.

PREMIATI CON TARGA

Silvana Aurilia, Carla Finizio, Francesco Gaggi, Simone Giugno, Mariagrazia Giuliani, Francesco Moscati, Sacha Naspini, Paolo Pergolari, Marina Maria Josè Riotto.

PREMIATI CON MEDAGLIA

Angelo Adinolfi, Gabriella Arceci, Aldo Bonato, Rita Califano, Fiorella Ficorilli, Laura Fontanive, Eugenia Grimani, Giuseppina Lamberti, Palma Stefania Pagano, Anna Gertrude Pessina, Carla Petruzziello, Franco Querini, Marcella Ragazzi, Roberta Selan, Giovanna Tavolino.

Romanzi

PRIMO PREMIO

TACI, E SUONA LA CHITARRA!
di Achille Maccapani

La musica, la vita di un giovane musicista, la sua passione per la vita. Elementi che si intrecciano tra loro per dare corpo ed anima ad un romanzo che avvince sin dalla prima riga. Piace la scrittura lineare e pulita. Piace la trama, avvincente e coinvolgente. Piace lo stile narrativo, così diretto che usa le parole per costruire immagini e suggerire emozioni, stati d’animo. “Taci, e suona la chitarra”: anche il titolo non si perde in inutili rimandi. Chiaro, essenziale va dritto al messaggio di cui la storia è intrisa, dall’inizio alla fine. Le vicende si susseguono, anzi si inseguono risucchiando il lettore in un vortice di lettura che non lascia scampo: bisogna andare fino in fondo! Capire i personaggi. Il perché delle loro scelte. Il ritmo non si allenta neanche durante i dialoghi che fanno da spalla ideale ai momenti narrativi. Così si arriva alla fine. E nella mente rimangono le immagini di una vita, di tante vite, che si sono osservate al di là delle pagine. Proprio come in un film.

SECONDO PREMIO

IL QUADERNO DI LUCIA
di Anna Maria Barberis

Anna Maria Barberis ha saputo consegnarci, in un romanzo d’impianto naturalistico, con incipit dal principio e coincidenza tra fabula e intreccio, (anche se non mancano analessi e prolessi), con la divisione della materia in anni (dal 1900 al 2000) anziché in capitoli, come avviene nella Storia di Elsa Morante,  il lascito morale di un’assoluta fedeltà ai dettami della coscienza, pur in un mondo dominato dalla dura legge del dare e dell’avere.
Varie classi sociali sono rappresentate in questo testo, in cui chi dice io è una contadina che,andando a servizio, prima in una casa signorile, poi presso esponenti della piccola e media borghesia, non solo acquisisce  cognizioni insospettate (significativa la scoperta del rito del tè), ma va sviluppando anche, “in tanti anni di vita non protetta”,  una consapevolezza nuova, che fa di quest’opera un romanzo di formazione e dell’ umile protagonista un personaggio dinamico e sorprendentemente vivo.

TERZO PREMIO ex-aequo

LA SCARPA COL TACCO
di Bruno Bini

Bruno Bini ha saputo sapientemente confezionare un’opera in cui, nel pigro succedersi delle generazioni, con la loro trama di lavoro pacifico, di nascite e morti, viene incastonata una struggente storia d’amore del tempo di guerra, il cui incanto emerge lentamente dal lontano passato, in virtù di un fascio di lettere, che, mentre tale vicenda scandiscono, risultano anche perfettamente inserite in un tessuto narrativo variato e “polifonico”.  Le atrocità e le sofferenze del macrocosmo servono a far risaltare ancor più le gioie semplici e i problemi di tutti i giorni di chi nel romanzo la storia subisce, come tanti antieroi novecenteschi, o di chi al contrario, come il pilota americano e il partigiano Plinio, cerca di contrastare o dilazionare gli eventi per  ritagliarsi una  gioia ancorché fragile,  conquistando altresì l’amore riconoscente e la stima di una donna e di un’intera popolazione.

TERZO PREMIO ex-aequo

I CANAPAI
di Maria Russo Rossi

Il titolo del romanzo – in 4 parti – svela subito il mestiere svolto dalla famiglia protagonista: la lavorazione della canapa, descritta dettagliatamente in tutte le sue fasi.
L’autrice è un’attenta osservatrice: narra con dovizia di particolari e toni sinceramente affettuosi le vicende dei personaggi, Angelo, Michele, Maria, Luca, sui quali a prendere il sopravvento è un senso profondo, anche se talora ben mascherato, di solitudine.
Narrata in terza persona, con belle descrizioni di tradizioni popolari ed a tratti intervallata da dialoghi, la storia si dipana attraverso l’ultimo cinquantennio e si avvale di un linguaggio quotidiano: semplice, familiare, diretto, leggero, arricchito di inflessioni dialettali ( i luoghi preminenti sono Frattamaggiore e Bari) e detti popolari.

PREMIATI CON TARGA

Raffaele Aufiero, Massimo Burioni, Vittorio Casali, Mariadonata Ciceri, Marina Dionisi, Franco Gollini, Orazio Martorana, Antonio Mugnano, Stefano Paolini, Teresa Regna, Alberto Ziello.

PREMIATI CON MEDAGLIA

Fulvio Amato, Antonio Andriani, Sergio Bevilacqua, Mario Borghi, Matteo Capozza, Eugenio Cardi, Matteo Cosimato, Maddalena Cuccurullo, Osvaldo Frasari, Enrico Maini, Antonio Martinelli, Ettore Nobile, Simona Parrilli, Rino Passigato, Roberto Reggiani, Mario Terminelli.